Il blog di Aldo Giavitto, cioè Nessuno, ovvero Outis. Dunque, il blog di uno che non ha niente, ma talvolta QuAlCose, da dire... Senza infingimenti e pseudonimi virtuali: Songwriter è il mio nome totemico.
mercoledì 17 novembre 2010
Goran è uno che sa il fatto suo.
Ha stracciato un contratto con la RCA quando i tempi erano migliori e le prospettive promettenti.
E' un musicista con le sfere al posto giusto e sa suonare la chitarra acustica come pochi.
Per di più è un serbo maledettamente simpatico (per quanto capisca che l'affermazione possa sembrarvi ossimorica).
Non chiedetevi perchè non sapete chi sia.
Avete aperto la finestra oggi?
O vi bastano tv e computer per arieggiare la casa ;-) ?
venerdì 12 novembre 2010
lunedì 4 ottobre 2010
I VUES DI DIU
I venticinque affezionati lettori che seguono questo mio saltuario blog sanno bene che non amo parlare di me, della mia “carriera” artistica e del fatto che sono e resto songwriter per vocazione e passione (per quanto possa o debba fare tante altre cose per ragioni di sopravvivenza, sante scugne o curiosità o...), perchè mi sembra davvero ridicolo e becero promuovere spregiudicatamente sè stessi, come va tanto di moda ai nostri tempi.
Bene.
Oggi farò obtorto collo un’eccezione alla regola perchè sabato 2 ottobre m’è accaduta un’esperienza assolutamente inattesa e, per me, ancora inspiegabile: una mia canzone, I vues di Diu, magistralmente interpretata da Megan Stefanutti (grazie..., Megan!) ha vinto il Festival della Canzone Friulana 2010 (http://www.festivaldellacanzonefriulana.it/) , una rassegna nata negli anni ’60, (mitici? mah...), proseguita per oltre un decennio con alterne fortune, fino a esaurirsi nel 1986 per poi rinascere quest’anno con progettualità nuova e promettente.
Credo di avere già scritto da qualche parte in questo sconclusionato blog che mi sento profondamente furlan, ma non furlanist, nel senso che comunemente si associa a questo termine. Ultimamente, le derive oltranziste di certe frange “talebane” della lingua e cultura friulane mi stanno provocando più di un’orticaria e, anche per questo, da parecchio tempo non scrivevo più canzoni in lingua friulana, perchè aborrisco l’idea di essere associato per comodo e appagante cortocircuito mentale – caro a certi giornalisti di mia conoscenza – alla definizione cjantautôr furlan nel senso che i media locali attribuiscono generalmente a questo termine.
E allora, si chiederà giustamente qualcuno di voi, che cacchio ci facevi, ipocrita e ballista che non sei altro, con un tuo pezzo in friulano al Festival della Canzone Friulana 2010? per giunta presentato dall’immarcescibile Zampa Dario, icona di certa stantia e stereotipata “friulanità”, accompagnato e sostenuto nelle sue gag da sagra paesana da un’ammiccante partner femminile che praticava la lingua friulana come io lo shwaili (“E jere cussì emozionade che e cjaminave sù e jù: e à fat un solco là daûr dal palco!)?
Che ci facevo? Ora tento di spiegarvelo.
Sono un essere umano e ho anch’io le mie debolezze: compatite, se potete.
Il fatto è che mi ha chiesto di partecipare a questo festival una persona e un musicista verso cui io nutro una stima immensa e incondizionata: Valter Sivilotti. Un musicista furlan con le carte in regola per volare alto nel cielo della composizione e dell’arrangiamento contemporanei, ma, a mio avviso, troppo modesto e sotan perchè vengano apertamente riconosciute chenti la sua sensibilità musicale e la sua abilità tecnica (non temete, ce n’è anche altri: exempli gratia, Glauco Venier).
Nemo propheta in patria ecc. ecc.: d’accordo, ma ogni tanto, permettete, mi girano comunque a spin contrapposti...!
Nemo propheta in patria ecc. ecc.: d’accordo, ma ogni tanto, permettete, mi girano comunque a spin contrapposti...!
Ecco, è molto semplice: se Valter mi chiedesse di scrivere una canzone per il Festival del tenore fumato e sbronzo di Gonzicco Inferiore, destinata ad essere elaborata e arrangiata da lui, sono convinto che, alla fine, dopo qualche sonoro mugugno iniziale gliela scriverei. Perchè il personaggio è in grado di trasformare anche un’emerita cazzata (ve n’era qualche sensibile traccia anche nella serata del 2 ottobre u.s.) in un brano comunque dignitoso e ascoltabile, arrangiato ed eseguito con perizia professionale e impeccabile.
Dunque, sic rebus stantibus e per quanto snobisticamente allergico a manifestazioni “tipo Sanremo” con meccanismi di selezione e premiazione “nazional-popolare” dei brani in lizza, ho deciso comunque di partecipare all’ “evento”.
Ma... dovevo scrivere un brano con il testo in lingua friulana e, ultimamente, non ne sentivo l’esigenza, nè tantomeno l’urgenza. Finchè non ho letto sulla stampa locale e nazionale la notizia di un inqualificabile episodio accaduto in quel di Paderno (vd. ad es. /14/3461-Muore-bimba-musulmana-La-Lega-le-nega-la-tomba/ http://www.blitzquotidiano.it/cronaca-italia/udine-dissotterrare-neonata-cimitero-musulmana-protesta-340093/ )
E’ nata così, tra magone e sconforto, rabbia e speranza,
I VUES DI DIU
Timp e tiare, cjâr e crôs
cjante se ti mancje la mê vôs
Aiar, fiere, fiâr e frôs
volucimi tun sium ledrôs
Miezelune, gnot di avrîl
gnot che no si pues durmî
jenfri il voli dai curtîi
Miezegnot, lune di îr
in spiete di cualchi bon intîf
o nome di murî sancîr
Anin cun me cence pôre
là che polsin i vues di Diu
là che no si colte smare
e la fuee de tiare
e pare i siums dai fiis.
Anin cun me la disdivore
là che nissun fasarès il nît
dulà che la gnot e insiore
l’ultime bore
dal nestri timp scunît…
Devant daûr in bande e achì
conte s’al è avonde ancje cussì
vuê o doman, passan o mai
inceimi che ancjimò ti viodarai
Miezelune, gnot di avrîl
gnot che no si scuen durmî
jenfri il veri dai curtîi
Crôs di lune, floc di îr
in cerce di un altri bon intîf
o nome di murî sclusîr…
Anin cun me cence pôre
là che gangarin i vues di Diu
là che no si ponte l’ore
e il strît de çore
al sore i voi dai fiis.
Anin cun me la dì di fieste
là che nissun bramarès un sît
là che l’aiar si moreste
e la puare creste
dal nestri timp scunît…
Anin cun me la disdivore
là che gjoldin i vues di Diu
là che no si conte smare
e la fuee de tiare
e pare i siums dai dîs…
Anin cun me la dì di fieste
là che ogni scriç al tornarà al so nît
dulà che no je int foreste
ma un flât di meste par ducj i fiis...
(LE OSSA DI DIO
Tempo e terra, carne e croce
canta se ti manca la mia voce.
Aria, febbre, ferro e fuscello,
avvolgimi in un sogno diverso...
Mezzaluna, notte di aprile
notte che non si può dormire
in mezzo all’occhio dei cortili
Mezzanotte, luna di ieri
in attesa di cualche buona occasione
o solamente di morire sincero (sobrio)
Vieni insieme a me senza paura
dove riposano le ossa di Dio
dove non si coltiva risentimento
e la foglia della terra
difende i sogni dei figli.
Vieni insieme a me nei giorni feriali
dove nessuno farebbe il nido
dove la notte impreziosisce
l’ultima brace
del nostro tempo sfinito.
Davanti dietro (a ritroso), a lato e qui
racconta se è abbastanza anche così;
oggi, domani, dopodomani o mai
accecami che ancora ti vedrò...
Mezzaluna, notte di aprile
notte che non è obbligatorio dormire
in mezzo al vetro dei cortili
Croce di luna, fiocco di ieri
all’assaggio di un’altra buona occasione
o solamente di morire ignorante...
Vieni insieme a me senza paura
dove rabbrividiscono le ossa di Dio
dove non si segna l’ora
e il verso della cornacchia
beffeggia gli occhi dei figli.
Vieni insieme a me nel giorno di festa
dove nessuno desidererebbe un posto
dove si placano il vento
e la povera superbia
del nostro tempo esausto.
Vieni insieme a me nei giorni feriali
dove godono le ossa di Dio
dove non si coltiva risentimento
e la foglia della terra
difende i sogni dai giorni.
Vieni insieme a me nel giorno di festa
dove ogni pettirosso tornerà al suo nido
dove nessuno è straniero
e c’è un cucchiaio di minestra di polenta
per tutti i figli...)
"La canzone "I vues di Diu" è stata ispirata, purtroppo, da un fatto di cronaca avvenuto poco più di due mesi fa e cioè l'incresciosa vicenda della bimba musulmana di pochi mesi morta all'ospedale di Udine, la cui sepoltura nell'area riservata ai defunti islamici nel cimitero di Paderno ha suscitato lo sdegno e l'indignazione di qualche politicagnolo locale in cerca di notorietà di bassa lega, a suon di raccolta firme (migliaia...!) e magari invocando a vanvera la fedeltà a supposti "principi cristiani". Se difendere la propria "identità" significa negare la sepoltura ai bambini (e non solo!) di altra etnia e religione, allora resta ben poco da difendere.
L'autore del brano, tuttavia, continua ingenuamente a pensare, insieme alla buonanima di Sergio Endrigo, che "sarebbe bello fare festa tutti insieme".
Mi pare che non ci volesse troppo acume per risalire al fatto di cronaca che ha ispirato il brano e, dunque, non ho mai coltivato illusioni: una canzone politicamente scorrettuccia che parla di una bambina musulmana che t’invita ad accompagnarla senza paura “là che gangarin i vues di Diu”, cioè, fuor di poesia e metafora, nel cimitero dov’è seppellita, vi sembra che possa sperare di raggiungere il podio di un Festival della Canzone Friulana, per giunta alla presenza di un (stupore: folto!) pubblico mediamente al di sopra degli –anta e magari amante e votante del verde e dell’azzurro?
Forse voi sì, ma io non me l’aspettavo proprio e, a dirla tutta, anche un po’ mi dispiaceva per la bravissima Megan Stefanutti che avevo “costretto” a cantare una canzone così, che non le riservava alcuna realistica chance.
Invece... l’imprevedibile: il primo posto!
Devo ancora metabolizzare adeguatamente il tutto, ma al momento le ipotesi che mi permetto di avanzare sono due:
1) Lo spensierato pubblico, accorso per assistere legittimamente senza troppe aspettative e pregiudizi a una bella serata di musica e canzoni, non ha capito bene il senso del testo (del resto, nel libretto di sala, gli organizzatori si sono ben guardati dall’inserire una traduzione italiana dei testi o la breve presentazione degli stessi che avevano richiesto agli autori), ma è rimasto affascinato dalla bellezza e dall’intensità dell’arrangiamento, dell’esecuzione e dell’interpretazione e ha votato di conseguenza.
Benedetto equivoco e nulla di nuovo, in fondo: si parva licet, qualcosa di simile accadde a suo tempo anche a Roberto Vecchioni con Samarcanda, che da allora divenne e resta, volente o nolente, il suo più acclamato cavallo di battaglia. Una canzone dedicata al tema della morte e ispirata dalla dolorosa vicenda del padre venne “scambiata” dal pubblico, grazie anche all’indovinata alchimia dell’arrangiamento, per una pimpante e orecchiabile ballata dalle inconfondibilli movenze country.
2) Il pubblico ha capito fin troppo bene, non si è lasciato “infinocchiare” dalle apparenze e dalle introduzioni politically correct e low profile dello Zampa (Dario), che presentava la canzone bofonchiando imbarazzato qualcosa a proposito di chi non vorrebbe permettere di seppellire nei nostri cimiteri i bambini di altre religioni (e qui è partito un imprevisto e anomalo applauso che mi ha fatto sobbalzare sulla sedia), ma ha mangiato la foglia e ha premiato una canzone che esprimeva il malessere di chi non ne può più dell’ignoranza, della stupidità, dell’ “empietà” in senso etimologico di certa politica e presunta cultura dei nostri luoghi e tempi, e che insiste a sognare un futuro migliore e diverso per i suoi e nostri figli.
Se è vera la seconda ipotesi, allora questa canzone è stata il più grande "successo" della mia vita artistica, ma resta soprattutto un affettuoso, e forse non del tutto tardivo e inutile, segno di amore per la piccola sconosciuta bimba musulmana sepolta nel cimitero di Paderno: i vues di Diu.
sw
lunedì 30 agosto 2010
Mio padre...
Da quest'uomo ormai avviato lungo il declivio della vecchiaia, ma che io ricordo e immagino sempre più o meno quarantenne, ho imparato moltissimo. E' stato per molti e molti anni un fratello maggiore, l'icona della mia musica, lo specchio della cultura che mi affascinava e che amavo. Quanti libri ho letto, grazie alle sue suggestioni! E quanti giorni e notti ho consumato a suonare le sue canzoni!
"Incontro" è un gioiello che ha visto la luce su vinile nel lontano 1972, ma si tratta solo di un luogo "meno comune e più feroce" (chiedo venia a De Andrè!) e alquanto stereotipato: canzoni così non riescono a invecchiare e riascoltarle è sempre un incanto, una sorpresa, un soprassalto di emozione e l'inutile sforzo di atteggiarsi ad occhi asciutti...
sw
venerdì 21 maggio 2010
Evviva: piramidi a Cividale...!
Qualche settimana fa, mia figlia mi ha chiesto se avevo avuto contezza della scoperta di "piramidi" nei dintorni della città ducale. Ho risposto con una sbruffante risata e le ho chiesto chi mai le avesse spacciato proditoriamente una simile idiozia.
Mi ha risposto: "Alcuni miei compagni hanno visto un servizio al Tg regionale su Rai 3".
Ho messo l'informazione in memoria, ripromettendomi di verificarla e approfondirla, dato che non avevo avuto la meravigliosa opportunità di "godermi" in tempo suppergiù reale il servizio del Tg 3.
Grazie alla ferrea memoria di YouTube devo ricredermi: era tutto vero!
Intendo il fatto che l'idiozia fosse stata diligentemente propalata dalla redazione del nostro ineffabile Tg regionale, aduso a verificare l'attendibilità delle informazioni con indefettibile e professionale acribia.
Mi complimento sinceramente con Walter Maestra ("chi era costui?"): finalmente ha trovato la visibilità che giustamente compete ad uno studioso del suo calibro e, per sua fortuna, qualcuno si è peritato d'indagare il suo indefettibile curriculum di studi.
Ad maiora!
sw
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lunedì 10 maggio 2010
E. Montale, Gli uomini che si voltano
Magari sarò perseguito per violazione del diritto d'autore, anche se credo che lui ne avrebbe riso di gusto...
Talvolta ho l'impressione che mi legga nel pensiero (e il presente congiuntivo non è una svista): uomini così mi mancano.
Dedicata a chi so - e non so - io.
Probabilmente
non sei piú chi sei stata
ed é giusto che cosí sia.
Ha raschiato a dovere la carta a vetro
e su noi ogni linea si assottiglia.
Pure qualcosa fu scritto
sui fogli della nostra vita.
Metterli controluce è ingigantire quel segno,
formare un geroglifico piú grande del diadema
che ti abbagliava.
Non apparirai più dal portello
dell’aliscafo o da fondali d’alghe,
sommozzatrice di fangose rapide
per dare un senso al nulla. Scenderai
sulle scale automatiche dei templi di Mercurio
tra cadaveri in maschera,
tu la sola vivente,
e non ti chiederai
se fu inganno, fu scelta, fu comunicazione
e chi di noi fosse il centro
a cui si tira con l’arco dal baraccone.
Non me lo chiedo neanch’io. Sono colui
che ha veduto un istante e tanto basta
a chi cammina incolonnato come ora
avviene a noi se siamo ancora in vita
o era un inganno crederlo. Si slitta.
(Eugenio Montale, Satura II)
lunedì 26 aprile 2010
Chitarre scordate, mais o.g.m. e pallottole spuntate...
Photo by Tina Modotti (my beloved Tinisima...)
Noi ci stancammo
per via delle tenere piume
delle etichette
del ciarpame da terza
auspicabilmente ultima
repubblica multimediale.
Noi c’infrangemmo
le coglie allor possenti
e disarmate
al suon delle campane di Girgenti
o di Rocca delle Caminate.
All’ombra delle mode aberranti
e dell’ottusa conformità
dell’anticonformismo
e delle sue plastirivolte.
Così prevedibili e blasfeme
da rimpiangere la sapida anarchia
del popolo e la santa ignoranza
delle nonne.
Noi descrivemmo
con dovizioso artifizio
il bell’andare
di ciò che parea eterno
e in cui credemmo
fino a decollare
- in vista di una meta? -
la nostra afasica speranza.
Appena nata.
Noi abortimmo
in sala gestatoria
il pronome possessivo
le prime, le terze
persone
la bradipa impostura della storia.
Il nostro nome tu
ci sputi in faccia
e ti riesce facile
come a chi ha ragione
e spara
dentro un alibi
una maschera acconciata
di cui non resta traccia.
Noi ci stancammo
per via dell’impotenza
di maestri balbettanti
bulimica acquiescenza
al verbo dell’esistere.
Non son chi fui.
Non siamo.
L’attualità degli ex amici
è pletora pietosa
d’anime disanime
alla ricerca isterilita
e isterica
di qualcuno
o almeno di qualcosa.
Il nostro sangue seme
è stato sparso
in coiti incerti
all’ombra del progresso
diuturnamente on line
download felicità
gratuita
- release, please! -
che tutti a buon mercato
ne fruttiamo
immuni
impuni
ne godiamo!
Il nostro seme sangue
è stato sparso
per noi e per tutti
in remissione del nulla
clonato all’ennesima
impotenza
gioiosamente imploso
nella cacofonia vanìloqua
di qualunque esistenza.
Ma noi ci stancammo
per via d’inutili piume
che mai divennero ali.
E razzolammo
pigolando leziosi
nei cubiculi comodi
di questi alveari
negli spazi ergonomici
dei mondi virtuali.
Ai figli insegnammo
- patetico orgoglio -
la dubitosa palude
e morchiosa
dei padri
la taciturna rivolta
e sconfitta
delle madri.
A.
martedì 19 gennaio 2010
Que viva Pedro!
A me questo "vecchio" vescovo - ben più coraggioso, combattivo e schietto di certi suoi "giovani" colleghi melliflui e mediatici - piace davvero.
Vive, dice e scrive cose che condivido e amo, ma che fatico ogni giorno di più a nutrire in me stesso e a rintracciare nelle persone con cui, spesso mio malgrado, mi ritrovo ad attraversare il deserto di questa agonizzante weltanschauung "occidentale"...
La tragedia di Haiti smuove a bruciapelo dalla memoria e dall'inconscio di molti friulani esperienze, traumi e ricordi insanabili...
Ma non è che un barlume, un attimo.
Poi si ripiomba, ottusi e indaffarati, nel consueto dasein autoestinguente e nell'ipocrita banalità di chi è oltraggiosamente troppo ricco per concepire veramente l'esistenza dei poveri.
GIUDIZIO CRISTIANO SUL NEOLIBERISMO
di Pedro Casaldáliga, vescovo de Sao Felix do Araguiaia, Brasil
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La grande sfida per qualunque coscienza umana, e evidentemente per tutta l'azione pastorale, e', senza dubbio, il neoliberismo, quel sistema, ora unico e signore, e che si crede definitivo, il "non oltre" della storia umana. Non sono specialista ne' in politica ne' in economia ne' in sociologia, pero' voglio condividere, umanamente e cristianamente, con voi questa sfida mondiale. Per uscire da qualsiasi ingenuità, e' bene ricordare che il neoliberismo e' capitalismo puro; anche più, e' il capitalismo elevato alle ultime conseguenze. Non e' solo il capitale sul lavoro, bensì il capitale contro il lavoro; lavoro che sarebbe un diritto di tutti e che sta' diventando proibito ad una maggioranza crescente, per colpa della disoccupazione. Il lucro per il lucro, che nel capitalismo neoliberale si costituisce nel mercato totale e onnipotente, facendo della stessa umanità una compravendita. La proprietà' privata, ogni volta più privatista e privatizzatrice, il neoliberismo e' il capitalismo dell'esclusione decretata per l'immensa maggioranza dell'umanità. Da sempre il capitalismo ha impedito a molti di "avere", alla maggioranza; oggi il neoliberismo impedisce di "essere" ad una immensa maggioranza. Parliamo di terzo o quarto mondo. Per il sistema neoliberale il mondo si divide perfettamente in due: quelli che hanno e contano e possono vivere bene, e quelli che non hanno e non sono e, perciò, sono di troppo. Il capitalismo che possiamo chiamare più tradizionale si impossessava degli stati e capitalizzava su di essi. Il capitalismo neoliberale propugna e impone la struttura dello stato minimo. Con il quale, di fatto, si viene negando la stessa società. Un mondo, con i suoi paesi, senza uno stato autenticamente rappresentativo e garante dello spazio, delle opportunità e dell'armonia della convivenza per le città e i cittadini, cioè un mondo senza società. E pure senza futuro. Il neoliberismo e' tanto omicida quanto suicida. Nei paesi di questo altro mondo, il terzo, il coprifuoco, la disoccupazione, la fame, la violenza. Una violenza che e' reazione molto spiegabile dall'essere strutturalmente violentati. Nei nostri paesi poveri l'economia informale (dell'arrangiarsi N.d.R.) e' ormai approssimativamente il 70% dell'intera economia. Oggi giorno la violenza e' passata ad essere una nuova economia di sussistenza. Anche per il primo mondo tuttavia c'è la disoccupazione e la drammatica prospettiva della mancanza di senso. E per entrambi i mondi la marea incontrollabile della migrazione. Ora, le analisi più sensate del futuro prossimo, hanno definito il secolo XXI come il secolo delle migrazioni. "I nuovi barbari" invaderanno il nuovo impero. O si da' spazio all'umanità o l'umanità se lo prende... E questa totale iniquità del neoliberismo, che finisce le alternative, le utopie, la socializzazione umanizzante, conferisce all'iniquità un'impunità totale. A nessuno deve rendere conto. Teorici e teologi, di questa religione idolatra hanno avuto il coraggio di accettare che un 15% dell'umanità avrà di fatto il diritto di vivere e di vivere bene. Il resto dell'umanità sopravviverà... Il Dio della vita, Padremadre di tutta l'umanità, calcolo' male, si impegno' ingenuamente e dovrà cedere presto il posto a questi altri Dei della minoranza e ... della morte. Per noi, il neoliberismo e' essenzialmente iniquo, e' peccato, peccato mortale, perché ammazza. Un giudizio semplicemente umano e a maggior ragione se e' cristiano, può solo condannare il neoliberismo, nella filosofia e nella pratica. Non neghiamo evidentemente il diritto e perfino la necessità del mercato. Sempre, a suo modo, l'umanità l'ha esercitato, Neghiamo, questo si, il primato e la totalità del mercato. L'essere umano non e' solo comprare e vendere. Il lucro a tutti i costi e senza altre considerazioni e il consumismo sfrenato uccidono fisicamente quelli che non vi hanno accesso, e uccide moralmente i supposti beneficiari. Inoltre poi distrugge l'ambiente umano. E' antiecologico per definizione. Per la fede religiosa, l'umanità e' di stirpe divina. E' destinata alla vita. E per la fede religiosa l'universo, con le sue potenzialità e' una casa comune: la casa di tutti i figli e le figlie dell'unico Dio Padremadre. Aver fede nel Dio della vita e nel suo progetto per l’umanità, esige necessariamente una ribellione totale di fronte ad un sistema esclusivo, omicida ed ecocida. Io vengo propugnando il Macroecumenismo, anche cosciente di certe suscettibilità, e non precisamente per prescindere dalla mia identità cristiana e cattolica. Credo nel Macroecumenismo perché credo nel Dio unico, Presente, Invocato e Incontrato in tutte le religioni. A partire da un Macroecumenismo vissuto con lucidità e sincerità, e' evidente che le grandi cause dell'umanità torneranno ad essere le nostre cause. Perché sono le cause di Dio. I diritti umani sono diritti divini. Cristianamente parlando: la grande causa di Gesù: il regno, che e' il progetto di Dio per l'umanità. La teologia della liberazione, prevenendo i tempi, andò incontro al neoliberismo proclamando l'opzione per i poveri e le loro cause come opzioni della chiesa, e il criterio etico per la società. Si e' ripetuto molto l'affermazione di Giovanni Paolo II circa la teologia della liberazione (= "la teologia della liberazione e' finita" N.d.R.). E' bene ricordare che la teologia della liberazione non fu comunista; che il muro di Berlino mai fu la cattedra della teologia della liberazione, e che il neoliberismo si e' il maggior muro che l'umanità abbia elevato tra una minoranza di privilegiati e una maggioranza di esclusi. Circa la vicenda dell'opzione per i poveri e della teologia della liberazione basta riconoscere che questi poveri sono ogni volta più numerosi e più poveri; confessare anche il Dio dei poveri e suo figlio, che li proclamo' benedetti; e pensare alla relazione che esiste tra questi poveri e questo Dio, tra i poveri e il vangelo. Che resterà dell'opzione per i poveri? Che resterà della teologia della liberazione? Sono due domande che si vanno imponendo. La risposta e' semplicissima: finche' esisterà il Dio dei poveri, e ci saranno poveri nel mondo e ci saranno cristiani e cristiane che opteranno per questo Dio e per questi poveri, e ci saranno teste cristiane che penseranno la relazione che esiste tra i poveri e il Dio del vangelo ci sarà il Dio dei poveri e la teologia della liberazione. L'opzione per i poveri non e', per la chiesa di Gesù, una opzione facoltativa, o un di più: e' l'opzione storicosociale della chiesa, la versione politico-economica del comandamento dell'amore. Ricordavo in questi giorni le tre definizioni di Dio: - "Io sono colui che ti ha fatto uscire dall'Egitto", dice il Signore nel libro dell'Esodo (20,1). Io sono il Dio della liberazione - "Io sono colui che sarò" (Es 3,14). io sono il vostro futuro, sono l'utopia dell'umanità. - "Dio e' amore" o traducendo più esattamente, "Dio consiste nell'amare" (1 Gv 4,16). Dio e' la solidarietà. Queste tre definizioni divine sono simultaneamente la più radicale condanna del neoliberismo, della schiavitù del mercato, della fine delle utopie, e della non-solidarietà; e al medesimo tempo sono la suprema garanzia della speranza dei poveri, in questa notte oscura che gli vuol negare anche lo spazio della sopravvivenza; e' la conferma rivelata della teologia della liberazione e della politica alternativa della solidarietà, la partecipazione e l'uguaglianza fraterna. Parlo della chiesa di Gesù, delle chiese cristiane, e c'è da credere che sarà probabilmente la prima sfida: l'esistenza e l'espressione nel mondo attuale di un ecumenismo reale. L'unita' dei cristiani non e' solo una specie di condizione riconosciuta dallo stesso Gesù ... "che tutti siano uno perché il mondo creda", ma anche una condizione sacramentale perché il mondo viva. Se la chiesa ha una missione in questo mondo, senza alcun dubbio, e' di annunciare e praticare la filiazione divina e la fraternità e la sorellanza umana. Nella storia molte volte la chiesa di Gesù non ha saputo vivere la diaconia (servizio N.d.R.) che Gesù sognava: essere prossima, vicina agli emarginati della società; annunciare la buona notizia ai poveri e liberare i prigionieri; dare da mangiare, vestire, umanizzare... La terribile controtestimonianza delle differenti guerre cristiane e le molte crociate di conquista, cosi come l'ansia di potere, il lusso e l'insensibilità di fronte alle ingiustizie istituzionalizzate, hanno recato alla chiesa un "debito estero" la cui cancellazione sarà il passo previo per la sua credibilità e per una evangelizzazione veramente nuova ed efficace. Si può temere, giustamente, che la storia futura condannerà la chiesa di oggi per non manifestare con coraggio contro il neoliberismo, come ora si condanna la chiesa di ieri per non essersi pronunciata deliberatamente contro i colonialismi in America Latina, in Africa o nel continente asiatico, e, più precisamente, contro la schiavitù del popolo nero. Penso che come chiesa soffriamo una multisecolare schizofrenia, la dicotomia tra fede e politica, tra carità ed economia, tra escatologia e storia. In fondo non crediamo veramente nell'incarnazione di Dio, in questa unita' dell'umano e del divino nella figura di Gesù di Nazareth. Il paradigma programmatico più attuale e sempre più evangelico per la chiesa di questo Gesù dovrebbe essere l'evangelizzazione liberatrice, comunitaria e inculturata. Nel nostro continente per grazia di Dio, per il sangue dei nostri martiri la chiesa dell'America Latina ha saputo, in teoria per lo meno, proclamare questa evangelizzazione integrale. A partire dal Concilio Vaticano II, e situando nel nostro tempo e nel nostro posto i segni dei luoghi e dei tempi, i tre grandi concili continentali di Medellin, Puebla e Santo Domingo, assunsero, rispettivamente, l'opzione per i poveri, la comunità come "comunione e partecipazione" e l'inculturazione. Nella versione più lucida e pratica, la chiesa del Brasile in concreto, e non solamente ella, sta traducendo questo programma rinnovatore nelle comunità ecclesiali di base, nelle pastorali specifiche, nella moltiplicazione e diversificazione dei ministeri e nei programmi nazionali di risposta a situazioni di emergenza o a rivendicazioni popolari. La "campagna di fraternità" che la Conferenza Nazionale dei Vescovi del Brasile organizza dal 1964, ha avuto come tema nel 1996 "fraternità e politica", ed il motto fu la bella utopia del salmo 85: "La giustizia e la pace si abbracceranno". Basta leggere i temi e i motti di queste trentatré campagne annuali per percepire la volontà di incarnare la fede e di rendere sociale l'amore. A seguito della famosa affermazione del papa, durante il volo mentre veniva in Centramerica, circa la teologia della liberazione, mi chiamo' un giornalista del Messico per chiedermi se ora fosse morta davvero questa teologia. Io tenevo in mano, precisamente, il testo base della campagna della fraternità brasiliana: tutto ciò e' pura teologia della liberazione, nei suoi contenuti e persino nella metodologia del vedere, giudicare e attuare. E' certo che, il medesimo papa, in un altro volo verso l'America Latina, provocato dai giornalisti, rispose categoricamente: "anch'io sono un teologo della liberazione". E, in quella carta storica che sempre il papa invio' all'episcopato brasiliano in uno slancio di alta emotività, Giovanni Paolo II affermava che "la teologia della liberazione non e' solo opportuna ma addirittura necessaria". Il Concilio Vaticano II chiede l'aggiornamento, la rinnovazione moderna della chiesa semper renovanda (che deve sempre rinnovarsi). Disgraziatamente per alcuni, il Vaticano II fu un importuno soffio dello Spirito, e adesso sarebbe passato anche di attualità. Il grande teologo Rahner pensava, al contrario, che noi impiegheremo un secolo per recepire questo concilio pentecostale. Meglio, questa costante rinnovazione, la rinnovazione più grande della chiesa, si sarà solamente nella misura in cui ella si andrà convertendo al Dio della vita e della storia rivelato in Gesù Cristo, e agli esclusi della storia e della vita, crocefissi con Lui; nella misura in cui ella saprà di essere nel mondo non per condannarlo ma per salvarlo. Con una salvezza integrale, che e' liberazione totale.
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sw
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