giovedì 12 novembre 2009

THE HUMAN SIDE

We are
on the human side
baby
and this is
our limit
and our pride.
Yes, we live
and we die
we laugh
and we cry
but above all
so unconsciously
we glide...

(18-12-1994)

sw

ADIEU




Come prevedevo alcuni post fa, ho finalmente disattivato Facebook, anche se smantellare definitivamente l’account con tutti i suoi contenuti risulta sostanzialmente impossibile.

Liberi liberi siamo noi, sì, ma liberi da che cosa...? cantava un Vasco d’un temps e, per quanto non sia un estimatore acritico del rockettaro di Zocca, la domanda mantiene tutta la sua inquietante attualità.
Per quel che mi riguarda, una risposta - limitatamente all’onnipervasiva invadenza di Musedilibri – me la sono data.

C’ero approdato su sollecitazione di un mio ex allievo, eccentrico e geniale la sua parte, attualmente fisico nucleare e ricercatore in un laboratorio internazionale in quel di Uppsala.
Straordinario Facebook: in poche settimane mi ha consentito di riprendere contatti virtuali (e di contribuire ad organizzare gradevoli cene reali!) con persone che non vedevo e sentivo da anni e che accorrevano a frotte a profferirmi la loro richiesta di amicizia!

Con alcuni sono riuscito a intavolare piacevolissimi ed emozionanti rapporti epistolari... come riavvolgere d’un lampo e magicamente il filo del tempo e per loro, lo riconosco, un po’ mi dispiace d’aver dato l’addio a Facebook, ma è un dispiacere di breve intensità e durata.
Infatti, quasi immediatamente mi sono reso conto che la serqua di cazzate, idiozie e futilità circolanti a pieno ritmo sul popolare social network erano di gran lunga e massicciamente superiori alla mia limitata soglia di tollerabilità ed al tempo a mia disposizione per assecondarle o contrastarle.

Inoltre, stante che molti dei sedicenti “amici” virtuali erano miei ex studenti, riconosco che non mi entusiasmavo granchè a vederli in maggioranza (con alcune lodevolissime eccezioni) cavalcare entusiasticamente la marea montante, perfettamente a loro agio – mi par di capire – nella vacua allure coprolalica e kenolalica che avanza inarrestabile. D’altronde, è giusto e forse necessario: è il loro momento di sperimentare cosa c’è al mondo e di sentirsi “liberi” di spendere o buttare il tempo e le energie come meglio credono. Più tardi si capisce che quel tempo non tornerà e si poteva impiegarlo meglio, ma per crescere sono indispensabili gli errori e i rimpianti e pare non ci sia modo di evitarli in anticipo.

A onor del vero, tuttavia, su Facebook spadroneggiano anche distinti gentiluomini e gentildonne della mia generazione o di quelle circonvicine che se la godono un mondo in quel frenetico calderone, felici come pasque di poter regredire alla lontana adolescenza, se non all’infanzia.
E ci sono anche alcune (pocucce...) persone consapevoli che utilizzano il social network per promuovere e diffondere manifestazioni culturali interessanti, per attivare iniziative importanti o gruppi d’interesse meritevoli di considerazione: il problema è che, per godere di poche perle, le devi scovare-scavare a fatica dentro una valanga inarrestabile di liquame.

Si dirà: ma potevi liberamente rifiutare l’amicizia, gli inviti, le segnalazioni che ritenevi oziosi e idioti. L’ho fatto, miei cari, l’ho fatto finchè ho potuto: decine e decine di preziosi minuti (che alla fin fine sfociano in ore) spesi a scrollare lunghe liste di nomi, gruppi (i più assurdi e inverosimili), eventi, test (aberranti), richieste di annessione al birthday calendar e altre amenità da valutare e spuntare lì per lì o, nel dubbio, da lasciare in quarantena per qualche altro giorno, o settimana, o mese, o...
Per uno che ne cassavo, almeno dieci di nuovi ne spuntavano. Insostenibile e defatigante.

E, d’altra parte, quando vedi materializzarsi un nome sullo schermo che ti riannoda a un frammento della tua vita, nel bene o nel male, comunque sia, come fai a dire di no? E’ su questa subdola coazione psicologica che si fonda il successo esponenziale di queste briareiche seducenti creature virtuareali del Web 2.0.
Come si fa ad avere 100, 150, 500, 1000, 15.000... “amici” ?!
Tragicomica idiozia.

Gli amici e le persone che ami o t’illudi di amare (e viceversa) sono giocoforza pochissimi e di prosaica carne ed ossa, di parola e sentimenti. Perchè gli esseri umani - giova talvolta ricordarlo - sono limitati, fragili e mortali, non onnipossenti, perennemente interconnessi, globali e virtuali.
Quando stai male, quando ti senti solo, quando ti senti strangolare nel cappio sempre più stretto della tua incomputabile, ma irripetibile, vita d’uomo, cosa ti può veramente aiutare: una relazione astratta e virtuale, due parole di circostanza che si materializzano s’uno schermo o la mano di un amico, di un amore, di un figlio o di un fratello che accarezza la tua?

C’è poco da fare: sto invecchiando e, per colmo d'ironia, ne sono orgoglioso e non farei il cambio con me stesso più giovane e neanche con la giovinezza dei miei benamati studenti.
Se proprio sentite in modo intollerabile la mia mancanza all'interno della rete socialvirtuale, non credo che avrete molte difficoltà a rintracciarmi nella prosaica realtà: magari ci sediamo al tavolo di un bar, ci guardiamo negli occhi e ascoltiamo le nostre voci che s'intrecciano...

sw


lunedì 9 novembre 2009

ANTÎL




ANTÎL

I plâs di stâ sentât cu la schene sul antîl di piere, tra lûs e scûr, cuant che dibot scuasi nissun lu viôt.
Al spiete cence presse che i pîts di cualchidun i sgarmetin dacîs, sbrissant sul ciment carulât di chê strissule di marcjepît.
Cualchidun al traviarse a la svelte, juste un moment prin, e lui al salude chei e chei cul so “mandi” e la gheade francese.
I plâs d’intivâ lis blestemis dai cjocs e i zuiadôrs di more ch’a rivochin de ostarie di Turo e ancje i glons de glesie di S. Maur, pençs di podê tocjâju, cundut che la glesie e sedi simpri vueide.
Cuindis agns di lavôr e vincj di stocs par prionte, ma chel sotet di gale, il pidignûl di Malie, lu à cjolt lui, parie cu la stale fraide, l’ort pustot e il cjôt.
Un bon afâr par cui che lu à vendût.
“Pai, pai! Ven a viodi ce ch’o vin cjatât! Ce covential chest imprest ca, po?”
Lui nol à mai viodût un rimpin pal fen e ur berle di stâ atents, che a podaressin fâsi mâl.
E i ven simpri gole di ridi cuant che la femine lu clame a cene, dongje dal spolert ch’al busine a planc.
Cuissà ce ch’al spere, sul antîl di piere, il neri di Teôr.


Il sghirat