martedì 19 gennaio 2010

Que viva Pedro!




A me questo "vecchio" vescovo - ben più coraggioso, combattivo e schietto di certi suoi "giovani" colleghi melliflui e mediatici - piace davvero.

Vive, dice e scrive cose che condivido e amo, ma che fatico ogni giorno di più a nutrire in me stesso e a rintracciare nelle persone con cui, spesso mio malgrado, mi ritrovo ad attraversare il deserto di questa agonizzante weltanschauung "occidentale"...

La tragedia di Haiti smuove a bruciapelo dalla memoria e dall'inconscio di molti friulani esperienze, traumi e ricordi insanabili...
Ma non è che un barlume, un attimo.
Poi si ripiomba, ottusi e indaffarati, nel consueto dasein autoestinguente e nell'ipocrita banalità di chi è oltraggiosamente troppo ricco per concepire veramente l'esistenza dei poveri.



GIUDIZIO CRISTIANO SUL NEOLIBERISMO

di Pedro Casaldáliga, vescovo de Sao Felix do Araguiaia, Brasil

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La grande sfida per qualunque coscienza umana, e evidentemente per tutta l'azione pastorale, e', senza dubbio, il neoliberismo, quel sistema, ora unico e signore, e che si crede definitivo, il "non oltre" della storia umana. Non sono specialista ne' in politica ne' in economia ne' in sociologia, pero' voglio condividere, umanamente e cristianamente, con voi questa sfida mondiale. Per uscire da qualsiasi ingenuità, e' bene ricordare che il neoliberismo e' capitalismo puro; anche più, e' il capitalismo elevato alle ultime conseguenze. Non e' solo il capitale sul lavoro, bensì il capitale contro il lavoro; lavoro che sarebbe un diritto di tutti e che sta' diventando proibito ad una maggioranza crescente, per colpa della disoccupazione. Il lucro per il lucro, che nel capitalismo neoliberale si costituisce nel mercato totale e onnipotente, facendo della stessa umanità una compravendita. La proprietà' privata, ogni volta più privatista e privatizzatrice, il neoliberismo e' il capitalismo dell'esclusione decretata per l'immensa maggioranza dell'umanità. Da sempre il capitalismo ha impedito a molti di "avere", alla maggioranza; oggi il neoliberismo impedisce di "essere" ad una immensa maggioranza. Parliamo di terzo o quarto mondo. Per il sistema neoliberale il mondo si divide perfettamente in due: quelli che hanno e contano e possono vivere bene, e quelli che non hanno e non sono e, perciò, sono di troppo. Il capitalismo che possiamo chiamare più tradizionale si impossessava degli stati e capitalizzava su di essi. Il capitalismo neoliberale propugna e impone la struttura dello stato minimo. Con il quale, di fatto, si viene negando la stessa società. Un mondo, con i suoi paesi, senza uno stato autenticamente rappresentativo e garante dello spazio, delle opportunità e dell'armonia della convivenza per le città e i cittadini, cioè un mondo senza società. E pure senza futuro. Il neoliberismo e' tanto omicida quanto suicida. Nei paesi di questo altro mondo, il terzo, il coprifuoco, la disoccupazione, la fame, la violenza. Una violenza che e' reazione molto spiegabile dall'essere strutturalmente violentati. Nei nostri paesi poveri l'economia informale (dell'arrangiarsi N.d.R.) e' ormai approssimativamente il 70% dell'intera economia. Oggi giorno la violenza e' passata ad essere una nuova economia di sussistenza. Anche per il primo mondo tuttavia c'è la disoccupazione e la drammatica prospettiva della mancanza di senso. E per entrambi i mondi la marea incontrollabile della migrazione. Ora, le analisi più sensate del futuro prossimo, hanno definito il secolo XXI come il secolo delle migrazioni. "I nuovi barbari" invaderanno il nuovo impero. O si da' spazio all'umanità o l'umanità se lo prende... E questa totale iniquità del neoliberismo, che finisce le alternative, le utopie, la socializzazione umanizzante, conferisce all'iniquità un'impunità totale. A nessuno deve rendere conto. Teorici e teologi, di questa religione idolatra hanno avuto il coraggio di accettare che un 15% dell'umanità avrà di fatto il diritto di vivere e di vivere bene. Il resto dell'umanità sopravviverà... Il Dio della vita, Padremadre di tutta l'umanità, calcolo' male, si impegno' ingenuamente e dovrà cedere presto il posto a questi altri Dei della minoranza e ... della morte. Per noi, il neoliberismo e' essenzialmente iniquo, e' peccato, peccato mortale, perché ammazza. Un giudizio semplicemente umano e a maggior ragione se e' cristiano, può solo condannare il neoliberismo, nella filosofia e nella pratica. Non neghiamo evidentemente il diritto e perfino la necessità del mercato. Sempre, a suo modo, l'umanità l'ha esercitato, Neghiamo, questo si, il primato e la totalità del mercato. L'essere umano non e' solo comprare e vendere. Il lucro a tutti i costi e senza altre considerazioni e il consumismo sfrenato uccidono fisicamente quelli che non vi hanno accesso, e uccide moralmente i supposti beneficiari. Inoltre poi distrugge l'ambiente umano. E' antiecologico per definizione. Per la fede religiosa, l'umanità e' di stirpe divina. E' destinata alla vita. E per la fede religiosa l'universo, con le sue potenzialità e' una casa comune: la casa di tutti i figli e le figlie dell'unico Dio Padremadre. Aver fede nel Dio della vita e nel suo progetto per l’umanità, esige necessariamente una ribellione totale di fronte ad un sistema esclusivo, omicida ed ecocida. Io vengo propugnando il Macroecumenismo, anche cosciente di certe suscettibilità, e non precisamente per prescindere dalla mia identità cristiana e cattolica. Credo nel Macroecumenismo perché credo nel Dio unico, Presente, Invocato e Incontrato in tutte le religioni. A partire da un Macroecumenismo vissuto con lucidità e sincerità, e' evidente che le grandi cause dell'umanità torneranno ad essere le nostre cause. Perché sono le cause di Dio. I diritti umani sono diritti divini. Cristianamente parlando: la grande causa di Gesù: il regno, che e' il progetto di Dio per l'umanità. La teologia della liberazione, prevenendo i tempi, andò incontro al neoliberismo proclamando l'opzione per i poveri e le loro cause come opzioni della chiesa, e il criterio etico per la società. Si e' ripetuto molto l'affermazione di Giovanni Paolo II circa la teologia della liberazione (= "la teologia della liberazione e' finita" N.d.R.). E' bene ricordare che la teologia della liberazione non fu comunista; che il muro di Berlino mai fu la cattedra della teologia della liberazione, e che il neoliberismo si e' il maggior muro che l'umanità abbia elevato tra una minoranza di privilegiati e una maggioranza di esclusi. Circa la vicenda dell'opzione per i poveri e della teologia della liberazione basta riconoscere che questi poveri sono ogni volta più numerosi e più poveri; confessare anche il Dio dei poveri e suo figlio, che li proclamo' benedetti; e pensare alla relazione che esiste tra questi poveri e questo Dio, tra i poveri e il vangelo. Che resterà dell'opzione per i poveri? Che resterà della teologia della liberazione? Sono due domande che si vanno imponendo. La risposta e' semplicissima: finche' esisterà il Dio dei poveri, e ci saranno poveri nel mondo e ci saranno cristiani e cristiane che opteranno per questo Dio e per questi poveri, e ci saranno teste cristiane che penseranno la relazione che esiste tra i poveri e il Dio del vangelo ci sarà il Dio dei poveri e la teologia della liberazione. L'opzione per i poveri non e', per la chiesa di Gesù, una opzione facoltativa, o un di più: e' l'opzione storicosociale della chiesa, la versione politico-economica del comandamento dell'amore. Ricordavo in questi giorni le tre definizioni di Dio: - "Io sono colui che ti ha fatto uscire dall'Egitto", dice il Signore nel libro dell'Esodo (20,1). Io sono il Dio della liberazione - "Io sono colui che sarò" (Es 3,14). io sono il vostro futuro, sono l'utopia dell'umanità. - "Dio e' amore" o traducendo più esattamente, "Dio consiste nell'amare" (1 Gv 4,16). Dio e' la solidarietà. Queste tre definizioni divine sono simultaneamente la più radicale condanna del neoliberismo, della schiavitù del mercato, della fine delle utopie, e della non-solidarietà; e al medesimo tempo sono la suprema garanzia della speranza dei poveri, in questa notte oscura che gli vuol negare anche lo spazio della sopravvivenza; e' la conferma rivelata della teologia della liberazione e della politica alternativa della solidarietà, la partecipazione e l'uguaglianza fraterna. Parlo della chiesa di Gesù, delle chiese cristiane, e c'è da credere che sarà probabilmente la prima sfida: l'esistenza e l'espressione nel mondo attuale di un ecumenismo reale. L'unita' dei cristiani non e' solo una specie di condizione riconosciuta dallo stesso Gesù ... "che tutti siano uno perché il mondo creda", ma anche una condizione sacramentale perché il mondo viva. Se la chiesa ha una missione in questo mondo, senza alcun dubbio, e' di annunciare e praticare la filiazione divina e la fraternità e la sorellanza umana. Nella storia molte volte la chiesa di Gesù non ha saputo vivere la diaconia (servizio N.d.R.) che Gesù sognava: essere prossima, vicina agli emarginati della società; annunciare la buona notizia ai poveri e liberare i prigionieri; dare da mangiare, vestire, umanizzare... La terribile controtestimonianza delle differenti guerre cristiane e le molte crociate di conquista, cosi come l'ansia di potere, il lusso e l'insensibilità di fronte alle ingiustizie istituzionalizzate, hanno recato alla chiesa un "debito estero" la cui cancellazione sarà il passo previo per la sua credibilità e per una evangelizzazione veramente nuova ed efficace. Si può temere, giustamente, che la storia futura condannerà la chiesa di oggi per non manifestare con coraggio contro il neoliberismo, come ora si condanna la chiesa di ieri per non essersi pronunciata deliberatamente contro i colonialismi in America Latina, in Africa o nel continente asiatico, e, più precisamente, contro la schiavitù del popolo nero. Penso che come chiesa soffriamo una multisecolare schizofrenia, la dicotomia tra fede e politica, tra carità ed economia, tra escatologia e storia. In fondo non crediamo veramente nell'incarnazione di Dio, in questa unita' dell'umano e del divino nella figura di Gesù di Nazareth. Il paradigma programmatico più attuale e sempre più evangelico per la chiesa di questo Gesù dovrebbe essere l'evangelizzazione liberatrice, comunitaria e inculturata. Nel nostro continente per grazia di Dio, per il sangue dei nostri martiri la chiesa dell'America Latina ha saputo, in teoria per lo meno, proclamare questa evangelizzazione integrale. A partire dal Concilio Vaticano II, e situando nel nostro tempo e nel nostro posto i segni dei luoghi e dei tempi, i tre grandi concili continentali di Medellin, Puebla e Santo Domingo, assunsero, rispettivamente, l'opzione per i poveri, la comunità come "comunione e partecipazione" e l'inculturazione. Nella versione più lucida e pratica, la chiesa del Brasile in concreto, e non solamente ella, sta traducendo questo programma rinnovatore nelle comunità ecclesiali di base, nelle pastorali specifiche, nella moltiplicazione e diversificazione dei ministeri e nei programmi nazionali di risposta a situazioni di emergenza o a rivendicazioni popolari. La "campagna di fraternità" che la Conferenza Nazionale dei Vescovi del Brasile organizza dal 1964, ha avuto come tema nel 1996 "fraternità e politica", ed il motto fu la bella utopia del salmo 85: "La giustizia e la pace si abbracceranno". Basta leggere i temi e i motti di queste trentatré campagne annuali per percepire la volontà di incarnare la fede e di rendere sociale l'amore. A seguito della famosa affermazione del papa, durante il volo mentre veniva in Centramerica, circa la teologia della liberazione, mi chiamo' un giornalista del Messico per chiedermi se ora fosse morta davvero questa teologia. Io tenevo in mano, precisamente, il testo base della campagna della fraternità brasiliana: tutto ciò e' pura teologia della liberazione, nei suoi contenuti e persino nella metodologia del vedere, giudicare e attuare. E' certo che, il medesimo papa, in un altro volo verso l'America Latina, provocato dai giornalisti, rispose categoricamente: "anch'io sono un teologo della liberazione". E, in quella carta storica che sempre il papa invio' all'episcopato brasiliano in uno slancio di alta emotività, Giovanni Paolo II affermava che "la teologia della liberazione non e' solo opportuna ma addirittura necessaria". Il Concilio Vaticano II chiede l'aggiornamento, la rinnovazione moderna della chiesa semper renovanda (che deve sempre rinnovarsi). Disgraziatamente per alcuni, il Vaticano II fu un importuno soffio dello Spirito, e adesso sarebbe passato anche di attualità. Il grande teologo Rahner pensava, al contrario, che noi impiegheremo un secolo per recepire questo concilio pentecostale. Meglio, questa costante rinnovazione, la rinnovazione più grande della chiesa, si sarà solamente nella misura in cui ella si andrà convertendo al Dio della vita e della storia rivelato in Gesù Cristo, e agli esclusi della storia e della vita, crocefissi con Lui; nella misura in cui ella saprà di essere nel mondo non per condannarlo ma per salvarlo. Con una salvezza integrale, che e' liberazione totale.

www.servicioskoinonia.org/Casaldaliga/


sw