venerdì 27 novembre 2009

Quasi nessuno lo sa, ma io sono uno scrittore di canzoni.

La poesia e la canzone popolare hanno beffeggiato per secoli il potente, l'ipocrita, il servile, lo scudiero: hanno cantato la vita, l'amore, la rabbia, l'impotenza, l'orgoglio dell'errore, la voglia, la nostalgia, la necessità...
Non hanno modificato sostanzialmente il mondo: per cambiarlo ci vogliono potere, soldi, acquiescenza, pragmatismo, faccia tosta (e un cambiamento a questo prezzo, infine e magari, non è poi così auspicabile...).
La poesia e la canzone popolare, per una sorta di benedetto e beffardo codice genetico, non li hanno quasi mai o li rifiutano.
E' un'affermazione risibile e irrilevante nell'Italietta di oggi, quella che crede solo all'odore dei soldi, al successo,  alle raccomandazioni, all'impunità.
In realtà, e purtroppo, non solo di oggi, perchè mio nonno ricordava che il suo, per sopravvivere, era costretto spesso a  ribadire: "Jo no viôt nie, no sai nie e viva l'Austrie!".

Se è così, io ringrazio i miei avi che, barcamenandosi a fatica, sono riusciti a prolungare le generazioni sino alla mia e riconosco d'esser loro debitore se sono qui a digitare s'una tastiera queste parole.
Ciononostante, mi professo epigono del tutto inaffidabile e non garantisco di perpetuare il modello.
E' da generazioni che siamo violentati a pensare che primum vivere...
Se la condizione è questa, allora tutto può, obtorto collo, essere accettato, tutto può passare, tutto può essere deglutito.

Ho avuto dei maestri, quanto si vuole imperfetti, ma che mi hanno insegnato l'importanza della dignità e della ricerca - costante, faticosa, claudicante - della coerenza.

Chissà...
Magari sono solo cazzate,  ma stasera scrivo, suono, canto e non mi sento in vena di accondiscendenza...




sw