I venticinque affezionati lettori che seguono questo mio saltuario blog sanno bene che non amo parlare di me, della mia “carriera” artistica e del fatto che sono e resto songwriter per vocazione e passione (per quanto possa o debba fare tante altre cose per ragioni di sopravvivenza, sante scugne o curiosità o...), perchè mi sembra davvero ridicolo e becero promuovere spregiudicatamente sè stessi, come va tanto di moda ai nostri tempi.
Bene.
Oggi farò obtorto collo un’eccezione alla regola perchè sabato 2 ottobre m’è accaduta un’esperienza assolutamente inattesa e, per me, ancora inspiegabile: una mia canzone, I vues di Diu, magistralmente interpretata da Megan Stefanutti (grazie..., Megan!) ha vinto il Festival della Canzone Friulana 2010 (http://www.festivaldellacanzonefriulana.it/) , una rassegna nata negli anni ’60, (mitici? mah...), proseguita per oltre un decennio con alterne fortune, fino a esaurirsi nel 1986 per poi rinascere quest’anno con progettualità nuova e promettente.
Credo di avere già scritto da qualche parte in questo sconclusionato blog che mi sento profondamente furlan, ma non furlanist, nel senso che comunemente si associa a questo termine. Ultimamente, le derive oltranziste di certe frange “talebane” della lingua e cultura friulane mi stanno provocando più di un’orticaria e, anche per questo, da parecchio tempo non scrivevo più canzoni in lingua friulana, perchè aborrisco l’idea di essere associato per comodo e appagante cortocircuito mentale – caro a certi giornalisti di mia conoscenza – alla definizione cjantautôr furlan nel senso che i media locali attribuiscono generalmente a questo termine.
E allora, si chiederà giustamente qualcuno di voi, che cacchio ci facevi, ipocrita e ballista che non sei altro, con un tuo pezzo in friulano al Festival della Canzone Friulana 2010? per giunta presentato dall’immarcescibile Zampa Dario, icona di certa stantia e stereotipata “friulanità”, accompagnato e sostenuto nelle sue gag da sagra paesana da un’ammiccante partner femminile che praticava la lingua friulana come io lo shwaili (“E jere cussì emozionade che e cjaminave sù e jù: e à fat un solco là daûr dal palco!)?
Che ci facevo? Ora tento di spiegarvelo.
Sono un essere umano e ho anch’io le mie debolezze: compatite, se potete.
Il fatto è che mi ha chiesto di partecipare a questo festival una persona e un musicista verso cui io nutro una stima immensa e incondizionata: Valter Sivilotti. Un musicista furlan con le carte in regola per volare alto nel cielo della composizione e dell’arrangiamento contemporanei, ma, a mio avviso, troppo modesto e sotan perchè vengano apertamente riconosciute chenti la sua sensibilità musicale e la sua abilità tecnica (non temete, ce n’è anche altri: exempli gratia, Glauco Venier).
Nemo propheta in patria ecc. ecc.: d’accordo, ma ogni tanto, permettete, mi girano comunque a spin contrapposti...!
Nemo propheta in patria ecc. ecc.: d’accordo, ma ogni tanto, permettete, mi girano comunque a spin contrapposti...!
Ecco, è molto semplice: se Valter mi chiedesse di scrivere una canzone per il Festival del tenore fumato e sbronzo di Gonzicco Inferiore, destinata ad essere elaborata e arrangiata da lui, sono convinto che, alla fine, dopo qualche sonoro mugugno iniziale gliela scriverei. Perchè il personaggio è in grado di trasformare anche un’emerita cazzata (ve n’era qualche sensibile traccia anche nella serata del 2 ottobre u.s.) in un brano comunque dignitoso e ascoltabile, arrangiato ed eseguito con perizia professionale e impeccabile.
Dunque, sic rebus stantibus e per quanto snobisticamente allergico a manifestazioni “tipo Sanremo” con meccanismi di selezione e premiazione “nazional-popolare” dei brani in lizza, ho deciso comunque di partecipare all’ “evento”.
Ma... dovevo scrivere un brano con il testo in lingua friulana e, ultimamente, non ne sentivo l’esigenza, nè tantomeno l’urgenza. Finchè non ho letto sulla stampa locale e nazionale la notizia di un inqualificabile episodio accaduto in quel di Paderno (vd. ad es. /14/3461-Muore-bimba-musulmana-La-Lega-le-nega-la-tomba/ http://www.blitzquotidiano.it/cronaca-italia/udine-dissotterrare-neonata-cimitero-musulmana-protesta-340093/ )
E’ nata così, tra magone e sconforto, rabbia e speranza,
I VUES DI DIU
Timp e tiare, cjâr e crôs
cjante se ti mancje la mê vôs
Aiar, fiere, fiâr e frôs
volucimi tun sium ledrôs
Miezelune, gnot di avrîl
gnot che no si pues durmî
jenfri il voli dai curtîi
Miezegnot, lune di îr
in spiete di cualchi bon intîf
o nome di murî sancîr
Anin cun me cence pôre
là che polsin i vues di Diu
là che no si colte smare
e la fuee de tiare
e pare i siums dai fiis.
Anin cun me la disdivore
là che nissun fasarès il nît
dulà che la gnot e insiore
l’ultime bore
dal nestri timp scunît…
Devant daûr in bande e achì
conte s’al è avonde ancje cussì
vuê o doman, passan o mai
inceimi che ancjimò ti viodarai
Miezelune, gnot di avrîl
gnot che no si scuen durmî
jenfri il veri dai curtîi
Crôs di lune, floc di îr
in cerce di un altri bon intîf
o nome di murî sclusîr…
Anin cun me cence pôre
là che gangarin i vues di Diu
là che no si ponte l’ore
e il strît de çore
al sore i voi dai fiis.
Anin cun me la dì di fieste
là che nissun bramarès un sît
là che l’aiar si moreste
e la puare creste
dal nestri timp scunît…
Anin cun me la disdivore
là che gjoldin i vues di Diu
là che no si conte smare
e la fuee de tiare
e pare i siums dai dîs…
Anin cun me la dì di fieste
là che ogni scriç al tornarà al so nît
dulà che no je int foreste
ma un flât di meste par ducj i fiis...
(LE OSSA DI DIO
Tempo e terra, carne e croce
canta se ti manca la mia voce.
Aria, febbre, ferro e fuscello,
avvolgimi in un sogno diverso...
Mezzaluna, notte di aprile
notte che non si può dormire
in mezzo all’occhio dei cortili
Mezzanotte, luna di ieri
in attesa di cualche buona occasione
o solamente di morire sincero (sobrio)
Vieni insieme a me senza paura
dove riposano le ossa di Dio
dove non si coltiva risentimento
e la foglia della terra
difende i sogni dei figli.
Vieni insieme a me nei giorni feriali
dove nessuno farebbe il nido
dove la notte impreziosisce
l’ultima brace
del nostro tempo sfinito.
Davanti dietro (a ritroso), a lato e qui
racconta se è abbastanza anche così;
oggi, domani, dopodomani o mai
accecami che ancora ti vedrò...
Mezzaluna, notte di aprile
notte che non è obbligatorio dormire
in mezzo al vetro dei cortili
Croce di luna, fiocco di ieri
all’assaggio di un’altra buona occasione
o solamente di morire ignorante...
Vieni insieme a me senza paura
dove rabbrividiscono le ossa di Dio
dove non si segna l’ora
e il verso della cornacchia
beffeggia gli occhi dei figli.
Vieni insieme a me nel giorno di festa
dove nessuno desidererebbe un posto
dove si placano il vento
e la povera superbia
del nostro tempo esausto.
Vieni insieme a me nei giorni feriali
dove godono le ossa di Dio
dove non si coltiva risentimento
e la foglia della terra
difende i sogni dai giorni.
Vieni insieme a me nel giorno di festa
dove ogni pettirosso tornerà al suo nido
dove nessuno è straniero
e c’è un cucchiaio di minestra di polenta
per tutti i figli...)
"La canzone "I vues di Diu" è stata ispirata, purtroppo, da un fatto di cronaca avvenuto poco più di due mesi fa e cioè l'incresciosa vicenda della bimba musulmana di pochi mesi morta all'ospedale di Udine, la cui sepoltura nell'area riservata ai defunti islamici nel cimitero di Paderno ha suscitato lo sdegno e l'indignazione di qualche politicagnolo locale in cerca di notorietà di bassa lega, a suon di raccolta firme (migliaia...!) e magari invocando a vanvera la fedeltà a supposti "principi cristiani". Se difendere la propria "identità" significa negare la sepoltura ai bambini (e non solo!) di altra etnia e religione, allora resta ben poco da difendere.
L'autore del brano, tuttavia, continua ingenuamente a pensare, insieme alla buonanima di Sergio Endrigo, che "sarebbe bello fare festa tutti insieme".
Mi pare che non ci volesse troppo acume per risalire al fatto di cronaca che ha ispirato il brano e, dunque, non ho mai coltivato illusioni: una canzone politicamente scorrettuccia che parla di una bambina musulmana che t’invita ad accompagnarla senza paura “là che gangarin i vues di Diu”, cioè, fuor di poesia e metafora, nel cimitero dov’è seppellita, vi sembra che possa sperare di raggiungere il podio di un Festival della Canzone Friulana, per giunta alla presenza di un (stupore: folto!) pubblico mediamente al di sopra degli –anta e magari amante e votante del verde e dell’azzurro?
Forse voi sì, ma io non me l’aspettavo proprio e, a dirla tutta, anche un po’ mi dispiaceva per la bravissima Megan Stefanutti che avevo “costretto” a cantare una canzone così, che non le riservava alcuna realistica chance.
Invece... l’imprevedibile: il primo posto!
Devo ancora metabolizzare adeguatamente il tutto, ma al momento le ipotesi che mi permetto di avanzare sono due:
1) Lo spensierato pubblico, accorso per assistere legittimamente senza troppe aspettative e pregiudizi a una bella serata di musica e canzoni, non ha capito bene il senso del testo (del resto, nel libretto di sala, gli organizzatori si sono ben guardati dall’inserire una traduzione italiana dei testi o la breve presentazione degli stessi che avevano richiesto agli autori), ma è rimasto affascinato dalla bellezza e dall’intensità dell’arrangiamento, dell’esecuzione e dell’interpretazione e ha votato di conseguenza.
Benedetto equivoco e nulla di nuovo, in fondo: si parva licet, qualcosa di simile accadde a suo tempo anche a Roberto Vecchioni con Samarcanda, che da allora divenne e resta, volente o nolente, il suo più acclamato cavallo di battaglia. Una canzone dedicata al tema della morte e ispirata dalla dolorosa vicenda del padre venne “scambiata” dal pubblico, grazie anche all’indovinata alchimia dell’arrangiamento, per una pimpante e orecchiabile ballata dalle inconfondibilli movenze country.
2) Il pubblico ha capito fin troppo bene, non si è lasciato “infinocchiare” dalle apparenze e dalle introduzioni politically correct e low profile dello Zampa (Dario), che presentava la canzone bofonchiando imbarazzato qualcosa a proposito di chi non vorrebbe permettere di seppellire nei nostri cimiteri i bambini di altre religioni (e qui è partito un imprevisto e anomalo applauso che mi ha fatto sobbalzare sulla sedia), ma ha mangiato la foglia e ha premiato una canzone che esprimeva il malessere di chi non ne può più dell’ignoranza, della stupidità, dell’ “empietà” in senso etimologico di certa politica e presunta cultura dei nostri luoghi e tempi, e che insiste a sognare un futuro migliore e diverso per i suoi e nostri figli.
Se è vera la seconda ipotesi, allora questa canzone è stata il più grande "successo" della mia vita artistica, ma resta soprattutto un affettuoso, e forse non del tutto tardivo e inutile, segno di amore per la piccola sconosciuta bimba musulmana sepolta nel cimitero di Paderno: i vues di Diu.
sw