Ho scoperto Van Gogh durante l'adolescenza: non certo grazie al micragnoso insegnamento di storia dell'arte al liceo, ma per folgorazione istantanea nello sfogliare libri d'arte in un'ormai scomparsa libreria della vecchia Udine anni '70.
Io e un mio amico giungevamo in città dai nostri paesini collinari alle 7.20 (levataccia alle 6.00, corriera alle 6.40!) e, nell'attesa che la scuola aprisse, c'intrufolavamo nella vecchia libreria di via Piave, dove un'anziana signora tolmezzina (a che ora si svegliava, lei?!) ci accoglieva con la sua burbera e taciturna cortesia a serrande semiaperte e ci lasciava girovagare tra gli scaffali dove potevano scartabellare a nostro piacimento libri d'ogni genere, dimensione, contenuto e fattura. Eravamo pessimi clienti, ovviamente, stante la nostra giovanissima età e la cronica penuria di soldi, ma l'anziana proprietaria non sembrava dare troppo peso alla cosa e ci assecondava, lasciandoci girovagare e curiosare anche nel retrobottega delle scansie, mentre accendeva il riscaldamento o spolverava o compilava scartoffie propedeutiche alla sua giornata di lavoro.
Sono trascorse ere geologiche da allora, ma a ripensarci è stupefacente riconoscere che certi, magari trascurati, imprinting sono fondamentali.
Così, oggi, nella mia amatissima vecchia casa di Zovello, dove adoro ritirarmi a leggere, scrivere, suonare, pensare, campeggia proprio di fronte al caminetto una buona riproduzione in stampa su tela di Starry Night di Van Gogh (l'originale non posso permettermelo, purtroppo!).
Spesso, mentre sto leggendo o scrivendo o suonando, m'incanto a bocca aperta, come ogni bambino, a contemplare il quadro nella sua struggente, autentica e onirica bellezza e "il naufragar m'è dolce" in quelle girali-spirali di stelle-lune-soli vegliate dall'angosciante ombra del cupo cipresso fiammeggiante, mentre il paese - il gno paîs - sembra dormire in una cornice fiabesca da presepio punteggiata di luci solitarie con il campanile-ago a perforare ostinatamente e dolcemente il cielo.
Il tutto affondato in una dominante blue-blues, con l'ostinato, ma perdente, rivolto del giallo.
Allora non sapevo, ma poi ho scoperto che questo quadro ha ispirato un'altrettanto intensa e struggente canzone di Don McLean, Vincent.
Il buon Roberto Vecchioni ha più tardi "tradotto" e "tradito" (e in parte modificato melodicamente) questa canzone con la consueta sensibilità, ma anche con l'allure piuttosto ruffiana che spesso lo caratterizza, trasformandola in un'immaginaria emozionante lettera di Gauguin all'antico amico Van Gogh.
Personalmente continuo a preferire la versione di Don McLean.
sw