giovedì 16 luglio 2009

FINIS TERRAE La stagione avanzava incurante e l’inverno si preannunciava gelido e spietato. I vecchi sapevano che non c’era abbastanza fuoco per tutti e chi fosse stato colto di sorpresa dalla galaverna non avrebbe avuto scampo. A dire il vero, sapevano anche come tentare un’estrema difesa, rimpolpare alla buona e alla svelta le scorte di legna, dormire in tanti abbracciati in un letto, rincalzare porte e finestre perchè reggessero meglio l’urlo del ghiaccio e del vento... Erano inguaribilmente stanchi, ottenebrati, sfiduciati, e non avevano più voglia d’insegnare. S’imparano e sdimenticano troppe cose lungo una vita... Si scrutavano attorno accigliati e sospettosi. Ringhiavano inesorabili che non c’era nulla da fare, a niente valeva illudersi: qualcuno quell’inverno – come sempre – doveva morire. “E’ doloroso”, dicevano, “una sventura tremenda, ma alla crudeltà dell’inverno non tutti possono scampare...”. Mentivano d’innocenza. E in cuor loro speravano di farcela, di non essere i più facili bersagli del destino. I giovani non capivano, abbozzavano, annaspavano, arrancavano. Frastornati ridevano, imprecavano, strofinavano le mani, ci soffiavano dentro, suonavano, ridevano, battevano i piedi a tempo, fiduciosi nel raga di un disgelo. Mentivano d’innocenza. Maledivano i vecchi perchè lesinavano la legna e la rivendicavano per loro, ma non sapevano come fare a procurarsela da soli. “Necessità aguzza l’ingegno” è stolida banalità se nessuno, davvero, t’insegna. I padri e le madri guaivano, nella morsa sempre più soffocante d’una intollerabile medietà: amavano i padri e i figli, ma gli uni propiziavano, scientemente o meno, la fine degli altri. E loro...? Che fine avrebbero fatto loro? Così la galaverna arrivò. Raggelò i rami e i miti. Il tempo si fermò sgretolando, come un iceberg, le leggende analogiche delle spere di metallo... Cominciarono a morire. Dapprima - e più rapidamente - i giovani: con quattro stracci addosso, senza un tetto, senza un letto, senza un fuoco, agli angoli delle strade trasformate in sconfinati deserti di ghiaccio. Poi, i padri e le madri, implorando sempre più flebilmente pietà per sè e per i loro figli. Infine, i vecchi, che l’avevano detto - e lo ripetevano arrangolando nella tosse - che non c’era più speranza...
Qualcuno abbozzò un conato di rivolta e tentò l’assaltò alle case dei vecchi per impadronirsi delle stufe, delle coperte, delle scorte di legna. Invano. I vecchi erano mortalmente stanchi, ottenebrati, sfiduciati, ma avevano paura, potere ed armi e non esitarono a sparare sul loro futuro: mors tua, vita mea. Mors nostra. Prima d’irrigidirsi nei rantoli dell’ultimo respiro, sulla retina fosca si materializzò un’immagine che li sconcertò e sorprese: scivolando leggeri sul ghiaccio si vedevano arrivare alla spicciolata, incessantemente, gruppi d’uomini dai tratti sconosciuti, provati ma vivi. Si reggevano l’un l’altro e parevano adusti e adusi, per lunga inauspicata esperienza, a fronteggiare la galaverna...