Bene.
Io domani sciopero.
E questa scelta, in queste
drammatiche circostanze, mi costa economicamente assai perché non sono ricco,
né cosi bene ammanigliato da potermi godere benefit economico-politici ad libitum ed infischiarmene
serenamente e ipocritamente della drammatica crisi che avanza e tritura il futuro
dei miei-nostri figli.
Non sono affatto uno scioperante
abituale (ne conosco alcuni idiotamente – in senso etimologico – arroganti e
intollerabili), perché ho da sempre ritenuto che il diritto dei miei studenti
all’istruzione sia un cardine costituzionale decisamente prevalente sulle mie,
pur giustificate, ragioni economico-contrattuali di meschino “lavoratore della
conoscenza”, ma a tutto c’è, drammaticamente, un limite.
Prendo definitivamente atto, con
la gratificante sensazione di un pugno al fegato, che le maggiori
organizzazioni sindacali (compresa quella a cui sono iscritto) sono ormai
ridotte a un pallido e pavido simulacro della tutela dei diritti democratici
dei lavoratori e dei beneficiari del loro lavoro: naturalmente, perché il mondo
è cambiato, la globalizzazione avanza, la crisi ci agguanta e bla bla bla...
Tutto cambia, todo cambia, certo,
ma preferisco Teresa de Sio alle sirene delle magnifiche sorti e progressive dei “tecnici” col culo sempre al
caldo e la carriera blindata, che spiegano lacrimando agli italiani che
necessitano gravosi sacrifici in vista di ulteriori magnifiche sorti e progressive.
Per loro, cento o duecento euro in
meno al mese sono una quisquilia impercettibile: qualcuno dovrebbe
sommessamente spiegargli che per me e per un milione di altri sfigati, che credono ancora nella cultura e nella libertà e tengono in piedi la povera baracca della scuola italiana, significano la
differenza tra la sopravvivenza e l’accattonaggio...
sw