FINIS TERRAE
La stagione avanzava incurante e l’inverno si preannunciava gelido e spietato.
I vecchi sapevano che non c’era abbastanza fuoco per tutti e chi fosse stato colto di sorpresa dalla galaverna non avrebbe avuto scampo.
A dire il vero, sapevano anche come tentare un’estrema difesa, rimpolpare alla buona e alla svelta le scorte di legna, dormire in tanti abbracciati in un letto, rincalzare porte e finestre perchè reggessero meglio l’urlo del ghiaccio e del vento...
Erano inguaribilmente stanchi, ottenebrati, sfiduciati, e non avevano più voglia d’insegnare.
S’imparano e sdimenticano troppe cose lungo una vita...
Si scrutavano attorno accigliati e sospettosi.
Ringhiavano inesorabili che non c’era nulla da fare, a niente valeva illudersi: qualcuno quell’inverno – come sempre – doveva morire.
“E’ doloroso”, dicevano, “una sventura tremenda, ma alla crudeltà dell’inverno non tutti possono scampare...”.
Mentivano d’innocenza.
E in cuor loro speravano di farcela, di non essere i più facili bersagli del destino.
I giovani non capivano, abbozzavano, annaspavano, arrancavano.
Frastornati ridevano, imprecavano, strofinavano le mani, ci soffiavano dentro, suonavano, ridevano, battevano i piedi a tempo, fiduciosi nel raga di un disgelo.
Mentivano d’innocenza.
Maledivano i vecchi perchè lesinavano la legna e la rivendicavano per loro, ma non sapevano come fare a procurarsela da soli.
“Necessità aguzza l’ingegno” è stolida banalità se nessuno, davvero, t’insegna.
I padri e le madri guaivano, nella morsa sempre più soffocante d’una intollerabile medietà: amavano i padri e i figli, ma gli uni propiziavano, scientemente o meno, la fine degli altri.
E loro...? Che fine avrebbero fatto loro?
Così la galaverna arrivò.
Raggelò i rami e i miti. Il tempo si fermò sgretolando, come un iceberg, le leggende analogiche delle spere di metallo...
Cominciarono a morire.
Dapprima - e più rapidamente - i giovani: con quattro stracci addosso, senza un tetto, senza un letto, senza un fuoco, agli angoli delle strade trasformate in sconfinati deserti di ghiaccio.
Poi, i padri e le madri, implorando sempre più flebilmente pietà per sè e per i loro figli.
Infine, i vecchi, che l’avevano detto - e lo ripetevano arrangolando nella tosse - che non c’era più speranza...
Qualcuno abbozzò un conato di rivolta e tentò l’assaltò alle case dei vecchi per impadronirsi delle stufe, delle coperte, delle scorte di legna.
Invano.
I vecchi erano mortalmente stanchi, ottenebrati, sfiduciati, ma avevano paura, potere ed armi e non esitarono a sparare sul loro futuro: mors tua, vita mea.
Mors nostra.
Prima d’irrigidirsi nei rantoli dell’ultimo respiro, sulla retina fosca si materializzò un’immagine che li sconcertò e sorprese: scivolando leggeri sul ghiaccio si vedevano arrivare alla spicciolata, incessantemente, gruppi d’uomini dai tratti sconosciuti, provati ma vivi.
Si reggevano l’un l’altro e parevano adusti e adusi, per lunga inauspicata esperienza, a fronteggiare la galaverna...
La campagna ora dorme,
RispondiEliminamentre il torrente
l'attraversa lento.
Tutto è silenzio.
Quale
distesa tranquilla
si apre allo sguardo
di questo bianco mattino?
I rami sono spogli.
Piano piano
il panorama s'è mutato,
la rigogliosa terra
assopita riposa.
Emozioni scolpite.
In questo mondo
ogni cosa ha la sua voce
e al sua eco ti raggiunge dentro
mentre alfine, la mente riposa.